top of page
Psicologo Psicoterapeuta
L'origine di un'idea. Storia del movimento psicoanalitico dalla sua nascita fino alla morte di S. Freud. (Seconda parte)
Adler e Stekel non furono gli unici a decidere di lasciare Freud e la sua cerchia di seguaci. Tra di essi vi fu un altro analista che iniziò ad avvertire un senso di oppressione ed una certa impossibilità ad esprimere le proprie idee in contrasto con quelle del Maestro: mi riferisco a C.G. Jung. Tali tensioni emersero definitivamente nel 1912, in occasione dell’organizzazione del 4° Congresso, incarico del quale si sarebbe dovuto occupare proprio l’analista svizzero in quanto presidente dell’ I. P. A.. Contravvenendo a tale compito, e, di fatto, decretando l’annullamento del Congresso, Jung antepose i propri interessi a quelli del gruppo, decidendo di iniziare proprio in tal periodo un ciclo di conferenze in America sulla psicoanalisi freudiana e proponendo, già in tal occasione, le proprie novità e prese di distanza rispetto al Maestro. Ciò segnò un chiaro punto di rottura con il resto del movimento.
Appresa la notizia di tale decisione, Jones e Ferenczi proposero a Freud di creare un piccolo gruppo, un consiglio segreto in grado di difendere la psicoanalisi, un Eden protetto dalle minacce del mondo esterno. Tale comitato avrebbe compreso Jones, Ferenczi, Sachs, uno dei primi soci, Rank, segretario del Movimento e Abraham. Freud accettò con gioia e, nella primavera del 1912, in occasione della prima riunione, regalò a ciascun partecipante una pietra della sua collezione da incastonare in un anello d’oro.
Possiamo leggere tale regalo come un tentativo di mantenere lo status quo, evitando l’insorgenza di ulteriori dissidi che avrebbero potuto minare dall'interno l’intero gruppo e causare, di riflesso, un interruzione, se non sospensione, della trasmissione del sapere psicoanalitico nel mondo. L’anello rappresenterà, da lì in avanti, un simbolo di accettazione e rispetto, di fedeltà ed obbedienza.
Il ritorno di Jung dall'America, nel Novembre dello stesso anno, segnò la rottura definitiva con Freud, testimoniata anche dal cambio di intestazione nel carteggio tra i due: il “caro amico” rivolto dal Maestro a Jung era ora divenuto un freddo “caro professore”. Gli ultimi mesi dello psicoanalista svizzero nel movimento furono dedicati all'organizzazione, seppur sbrigativa e priva di qualsiasi interesse, del 4° Congresso Psicoanalitico a Monaco. Nell'ottobre del 1913 egli si ritirò dalla redazione del giornale e, circa sei mesi più tardi, si dimise dalla carica di Presidente dell’ I. P. A, che venne assunta da Abraham. Il gruppo di Zurigo lo seguì nell'estate dello stesso anno.
Come per Adler e Stekel, vorrei sostare qualche istante sulle ragioni del distacco da Freud di uno dei membri a lui più vicini.
Certamente anche in questo caso vi sono delle differenze di carattere teorico.
Un primo esempio di esse è rappresentato dal differente modo di intendere il Complesso Edipico: se Freud lo ritiene un periodo nel quale il bambino giunge a provare realmente dei sentimenti di amore verso la propria madre e di odio verso il proprio padre, Jung lo intende solo in senso simbolico; la madre in esso simboleggia l’irraggiungibile mentre il padre diviene il “padre interiore” dal quale è necessario liberarsi per diventare uomini.
Altra differenza riguarda il concetto di conflitto che, se in Freud si evidenzia inizialmente nella contrapposizione tra pulsioni contrarie all'io e pulsioni di autoconservazione, in Jung si esprime nello scontro tra “compito vitale”, simile all’èlan vital di bergsoniana memoria e “l’inerzia psichica” associabile ad una certa viscosità d’animo; da qui il passaggio dal senso di colpa nevrotico al rimprovero per non aver adempiuto al proprio compito vitale.
Altro importante esempio riguarda lo sviluppo libidico-affettivo, caposaldo della scienza psicoanalitica: Jung, contravvenendo all'idea di una sessualità, seppur non genitale, presente fin dalla prima infanzia, fa risalire il suo inizio a quello che Freud aveva definito periodo di latenza.
Infine, forse uno dei nodi ove è maggiormente evidente la distanza tra i due autori riguarda il cuore stesso della psicoanalisi, il concetto di inconscio che, se Freud intende solamente come individuale, in Jung diviene anche collettivo, sede degli archetipi, definibili come forme di pensiero dotate di contenuto affettivo.
Al di là di questo rapido excursus su alcune differenze di carattere teorico, certamente vi furono anche altre ragioni a decretare lo scisma. Freud era divenuto per certi versi schiavo delle proprie idee, incapace di accettare qualsiasi spinta proveniente dall'esterno tesa ad arricchire od integrare la sua creatura. Jung si trovò cosi di fronte ad un bivio: scegliere se rimanere all'interno del Movimento, ingoiando la propria insofferenza e “castrando” le proprie idee (di fatto potremmo dire non adempiendo il proprio compito vitale) oppure evadere e separarsi definitivamente da quel mondo. Jung, come sappiamo, pur non senza una lunga riflessione, scelse la seconda strada, che ebbe un forte impatto sul Maestro: del resto i due avevano inizialmente condiviso molti interessi tra i quali quelli per l’occulto e per la telepatia, in seguito abbandonati da Freud. A riprova del legame che si era creato tra i due, Roazen ci riporta due episodi di svenimento occorsi al Maestro: il primo avvenne nel 1909 a Brema, durante una discussione sull'osservazione di alcuni cadaveri; lui stesso in seguito raccontò che tutto quel parlare di corpi morti gli diede l’impressione che potesse equivalere all'espressione dei desideri di morte di Jung nei suoi confronti. Il secondo ebbe luogo nel 1912 a Monaco durante un’accesa discussione tra i due, ove Freud accusò apertamente il suo “delfino” di aver scritto degli articoli senza citarlo e in occasione del quale, subito prima di svenire Freud sussurrò: “Come deve essere dolce morire”.
Seguendo le parole di Roazen tali sentimenti possono essere intesi come l’espressione di una certa preoccupazione del padre della psicoanalisi per il futuro delle proprie idee e gli svenimenti come la fuga da situazioni spiacevoli, come se fosse meglio morire nella fantasia che dovere reggere la propria aggressività.
Nonostante gli scismi e le tensioni interne, il movimento e la trasmissione della psicoanalisi continuarono nei diversi gruppi che erano stati creati nel corso degli anni: ai gruppi di Vienna (sciolto nel 1938) e di Zurigo, si aggiunsero quello americano, quello di Monaco, di Budapest e di Londra. Gli anni ’20 e ’30 procedettero senza particolari lotte e difficoltà, probabilmente poiché gli allievi, nella maggior parte dei casi, si limitarono a restituire a Freud le sue idee “senza portare spiacevoli novità”(P. Roazen,(1975), p. 365). Tra i nuovi soci ricordiamo autori quali T. Reik e H. Nunberg, anch'essi destinatari del famoso anello, P. Schilder, J. J. Putnamm, H. Frink, W. Reich, F. G. Alexander e alcune donne come R. M. Brunswick, una delle allieve predilette di Freud, A. Freud, M. Bonaparte, fondatrice della Società Psicoanalitica francese, H. Deutsch e M. Klein.
Prima di concludere questo mio lavoro sulla storia del movimento psicoanalitico, vorrei fare qualche piccola considerazione su di esso.
In primis vorrei sottolineare il rifiuto generalmente mostrato da Freud per le idee diverse dalle proprie; mi sembra che dietro ad esso si possa leggere un timore del tutto comprensibile: quello di vedere la propria creatura “violata” da mani amiche, mistificata da coloro che si erano proposti di difenderla e di diffonderla. Del resto il padre della psicoanalisi dedicò moltissimi anni passati quasi in solitudine a studiare ed a perfezionare la scienza psicoanalitica. Anche in tale senso vanno intese le aspre contestazioni ad autori come Fromm, Jung ed Adler, autori che proprio per il loro essersi diretti all'esterno dell’uomo, all'esterno della dimensione intrapsichica ed inconscia, assunsero agli occhi di Freud il titolo di dissidenti, di traditori da allontanare da quell’“inferno ameno” rappresentato dal movimento, al fine di evitare qualsiasi forma di contaminazione ed inquinamento. Ricordiamo a tal proposito il senso di sollievo di Freud alla notizia del cambiamento del nome della Società creata da Adler dopo aver abbandonato il gruppo.
In secondo luogo appare chiaro come il “circolo” avesse in realtà assunto la forma di una piramide, al cui vertice superiore sedeva il Maestro, seguito da tutti gli allievi. Il nodo cruciale, a mio parere, non è rappresentato tanto dalla posizione assunta da Freud, posizione che per certi versi, possiamo essere portati a legittimare, quanto dalla sua profonda difficoltà a “scendere tra gli uomini”, lasciando per qualche istante il suo posto vacante, senza il timore di poter essere spodestato.
Infine, meritano qualche parola i molti suicidi avvenuti all'interno del movimento, tra i quali ricordiamo quelli di Stekel, Federn, Tausk e Silberer. Non è mia intenzione stabilire nessi di causalità o produrre prove di colpevolezza; tuttavia ritengo che tali gesti possano essere considerati come la cifra della tensione e della pressione che, pur non sempre presenti, spesso si avvertivano all'interno del gruppo; quasi come se l’iniziale desiderio del “circolo” di confrontarsi proficuamente e costruttivamente sui diversi contenuti, si fosse tramutato in un’adesione più o meno indiscriminata al mainstream del Gruppo.
In conclusione, alla luce di quanto detto, possiamo leggere la storia del movimento psicoanalitico prima che come quella di un luogo di idee, come storia di uomini e donne consapevoli della portata storica, filosofica e terapeutica della nuova scienza psicoanalitica; uomini e donne che al di là dei contrasti e delle controversie, presenti anche nelle “migliori famiglie”, si sono impegnati ad approfondirne i contenuti, chi rimanendo fedele al Maestro, chi scegliendo di intraprendere una nuova strada.
Spero così di essere riuscito a mostrare non solo la “facciata” del movimento ma anche, e soprattutto, le sue intelaiature meno conosciute.
Dott. Fabio Del Ben
Bibliografia
Freud, S. (1914). Per la storia del movimento psicoanalitico in OSF, volume 7. Bollati Boringhieri, Torino
Galimberti, U. (2006). Dizionario di psicologia. Gruppo editoriale L’Espresso, Roma.
Mangini, E. (2003). Lezioni sul pensiero post-freudiano. Led edizioni universitarie, Milano.
Roazen, P. (1975). Freud e i suoi seguaci. Einaudi, Torino 1998.
Zanda, G. Dimissioni ed espulsioni nel movimento psicoanalitico negli anni 1907-1914 e la questione del pluralismo, Atti del XXV Convegno della rivista «Psicoanalisi e Metodo», 13 novembre 2010, Lucca.
bottom of page