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Immagine del redattoreFabio Del Ben

(S)proloquio #23


Tempo d’estate tempo di social: le vacanze spesso rappresentano il contenuto di molti post condivisi online. Ognuno sceglie di mettere su di un palcoscenico virtuale le proprie esperienze, esperienze che generalmente hanno la caratteristica, più o meno apparente, di presentarsi come appaganti, esclusive e vissute pienamente. Tendenzialmente si tendono a pubblicare maggiori contenuti laddove la vacanza sia stata in un luogo lontano, di tendenza e magari anche piuttosto costoso. La cosa che attrae la mia attenzione è questo verbo che utilizziamo in questi casi: “condividere”. Condividere significa “dividere con gli altri” ciò che abbiamo esperito in un certo periodo. E di solito questo è quello che facciamo al rientro, quando capita di raccontare ad amici e parenti come è andato il viaggio che abbiamo appena fatto. In presenza, cioè, davvero riusciamo a condividere. Nel mondo social penso che le cose stiano un po’ differentemente: mi sembra, infatti, che in assenza di altri, di altri in carne ed ossa, condividere rappresenti più un proprio bisogno che avviene, al limite, quasi indipendentemente dall’altro (sulla scia di quanto detto a proposito degli autografi nello (S)proloquio #6 al quale rimando). È come, cioè, se la nostra fosse più una “condivisione narcisistica”, un’anti-condivisione, in un certo senso. Quello che si rischia di fare è confondere la condivisione con una sorta di istinto voyeur al contrario dove non conta spiare quanto far vedere agli altri ad ogni costo quanto ci siamo divertiti. Mi sembra che questo possa essere affine a quello che dice il sociologo Vanni Codeluppi ne “La vetrinizzazione sociale”.


Fabio Del Ben


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