Si sente sempre più spesso parlare di razzismo, al punto che, a non parlarne si rischia davvero di sembrare tali. È quasi una moda (fortunatamente non per tutti), una parola-contenitore-di-molti-concetti da mettersi in bocca per potersi sentire parte del mainstram. Colui che afferma che non siamo tutti uguali è razzista, a quanto sembra, poiché evidenzia una differenza.
Non è così.
Forse è il caso di iniziare a familiarizzare con tale vocabolo poiché le differenze esistono e dobbiamo farcene una ragione. Colui che ha la pelle di un differente colore è certamente differente da me, così come il disabile costretto in carrozzina, per esempio; il rischio, però, sta nel trasformare tale differenza in diversità. L’altro in quanto Alter non è mai diverso da me, siamo entrambi esseri umani, ma certamente è differente da me in quanto altro-non-appartenente-a-me (cosa che, in caso contrario, tra l’altro, ci farebbe essere un’unica cosa con successivo addio al concetto stesso di alterità).
Un vecchio analista diceva che la tolleranza nasce dalla percezione della differenza: quello che facciamo noi, invece, è temere tale differenza al punto da doverla cancellare (“siamo tutti uguali”), pensando in tal modo di essere sulla strada giusta per riuscire ad incontrare autenticamente l’Altro che ci sta di fronte, e per riuscire a scansare definitivamente l’accusa di essere razzisti. Ecco, questa mi sembra proprio la strada sbagliata. Non è cancellando le differenze che incontriamo l’Altro ma proprio esaltandole.
Slavoj Zizek, uno dei maggiori filosofi contemporanei, racconta una piccola storiella in proposito, riferendosi ad un fatto accadutogli durante una sessione di autografi di un libro: ad essa erano presenti due “black men” e il filosofo, dopo aver firmato le due copie si trovò nell’impossibilità di ricordare quale copia fosse di chi. A quel punto disse: “voi neri siete un po’ come i cinesi, è difficile distinguervi, siete tutti uguali!”. Uno dei due uomini lo abbracciò calorosamente autorizzandolo anche ad usare l’epiteto “nigga”.
Come possiamo leggere tale fatto? Qui la percezione della differenza (e il suo non nascondimento) hanno reso possibile la battuta. Una battuta razzista? No, una battuta al di là del razzismo, non a caso accolta positivamente e ricambiata con un abbraccio. Potremmo essere portati a pensare che la seconda parte della battuta (“siete tutti uguali”) rappresenti una negazione della differenza: in realtà, a ben vedere, essa nasce proprio in seguito all’evidenziazione di una differenza. In questo caso la percezione di tale differenza rende possibile, in un secondo momento, potersene dimenticare: è allora che ci si può sentire liberi di dire “nero” o “bianco” in libertà proprio perché ormai si è oltre il razzismo. Allora forse, paradossalmente, possiamo pensare che il razzismo scomparirà proprio quando tali epiteti potranno essere utilizzati liberamente. È chiaro, però, che per quanto tale esito possa apparire simile al contesto di partenza, in realtà, ne è intimamente agli antipodi.
Dott. Fabio Del Ben
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