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La difficoltà del “lasciare andare”. Qualche pensiero su Thirteen reasons why 2.

(allarme spoiler)

È straordinario come alcune serie tv siano in grado di "catturarci" e di farci vivere emozioni molto forti.
Thirteen Reasons Why è certamente una di queste.
Appena finita di vedere la seconda stagione ci si sente un po’ turbati. La tredicesima è una puntata pesante, come del resto lo era stata quella della prima stagione. Questo numero, 13, considerato da molti come un segno di sfortuna, di sventura e da tante persone attentamente evitato o scongiurato, qui, nella seconda stagione, riesce a mutare il suo significato, cambia verso, in un certo senso perde in quantità per farsi qualità: se prima erano 13 le ragioni per farlo (Thirteen reasons why) adesso acquistano valore quelle per non farlo (reasons why not), quelle che Hannah scrive su un foglio e che sua madre consegna ad “Helmett” . È vero che sono numericamente di meno, “11 più quelle tralasciate”, ed è vero che non sono state sufficienti ad Hannah per cambiare la sua decisione, ma, come dice Mrs Baker, sono comunque “più rispetto a quelle per cui farlo”.
È un cambiamento importante quello che avviene in molti personaggi, qualcosa che però può solo prendere forma alla fine di un percorso che deve essere affrontato senza scorciatoie, senza scambi di persona, senza trucchi, e che, proprio per questo, appare dolorosissimo, pesante e difficile da sopportare. Un percorso che permette di fare i conti con il proprio senso di colpa, quello di Clay che si dispera per non aver capito prima quello che sarebbe accaduto ma anche quello di Hannah stessa, doppio di “Helmet”, che chiede di essere perdonata per quello che ha fatto. Se la prima stagione ci mette di fronte alla storia che ha portato alla morte di una giovane donna, la seconda ci pone a confronto con il tema dell'elaborazione di tale lutto,  con quello della perdita di chi abbiamo amato: è una storia di “resti” che hanno bisogno di tempo per poter diventare “rovine”, rovine di qualcosa che è stato e che adesso non è più, di qualcuno che fisicamente non vedremo più ma il cui ricordo, se vorremo, potrà sempre accompagnarci.
Il “lasciar andare” di cui si parla nelle ultime puntate mi sembra proprio questo, significa capire che possiamo continuare ad amare pur lasciando andare e questo vale sempre: vale per dei genitori con il proprio figlio, per un figlio con i propri genitori, vale per un/a ragazzo/a con il/la proprio/a ragazza e chissà quante altre volte. Lasciar andare può essere molto doloroso, richiede del tempo, un tempo che è bene prendersi senza vergogna, senza pensare a ciò che è giusto o sbagliato, a ciò che si dovrebbe o non dovrebbe fare….è solo così che possiamo davvero “lasciar andare”, cosa del resto completamente diversa dal semplice tentativo di dimenticare ad ogni costo. Per gran parte della serie "Helmett" si sforza di non vedere, o meglio, di far finta che quel fantasma non esista. Più ci prova più l'immagine di Hannah si fa "viva" e presente nella sua vita. E' come se essa rappresentasse il senso di colpa del giovane protagonista che, se da una parte accusa l'amica per aver compiuto un gesto simile senza alcun riguardo per chi sarebbe rimasto, dall'altra si rimprovera per non essere riuscito a fermarla.

S. Freud in "Lutto e melanconia" chiedendosi in che cosa consista il lavoro svolto dal lutto,  risponde che esso "esige che tutta la libido sia sottratta ai suoi legami con quell'oggetto". Aggiunge inoltre che, talvolta, ci può essere un'opposizione così intensa a tale azione  che "ci troviamo di fronte ad un rigetto della realtà ed a una stretta adesione all'oggetto". Ci vuole tempo per riuscire in questa opera di elaborazione e, nel frattempo, "viene prolungata psichicamente l'esistenza dell'oggetto perduto". In Clay il lavoro del lutto sembra complicarsi e velarsi di un 'ombra melanconica. Nello stesso testo Freud distingue il lutto dalla melanconia, una condizione nella quale una persona ha grosse difficoltà a lasciarne andare un'altra poiché, quando ella fu in vita, si identificò con lei al punto che una sua scomparsa equivalse ad una perdita di sé. In essa si evidenzia inoltre un brusco calo dell'autostima fino ai rimproveri ed alle autoaccuse. Questo sembra essere quello che capita anche a Clay sebbene come sconfinamento di un processo complicato di elaborazione del lutto.

Clay riesce a “lasciar andare” Hannah solo al momento della funzione religiosa, cioè solo quando può elaborare il lutto per l'amica riappropriandosi di quella energia che, fino a quel momento, non aveva potuto essere reinvestita su altri.

Il rito del funerale è, metaforicamente e non, ciò che permette davvero a Clay di lasciare andare la ragazza sempre amata, e ciò che gli permetterà di “poterla” dimenticare invece che cercare a tutti i costi di “doverla” dimenticare. Solo in quel momento Hannah può davvero svanire dalla sua testa, dal suo mondo, solo in quel momento può diventare, da presenza che si impone, a ricordo sul quale decidere di sostare, di ritornare volontariamente. Ed è solo allora che le lacrime possono lasciare il posto ad un sorriso, nella vita di Clay come nella nostra.

Dott. Fabio Del Ben

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